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La fattoria dei Rizzato è un punto di riferimento per gli abitanti del Villaggio del Sole degli anni Sessanta.

Raccontarne la storia, sia pure brevemente, significa anche condividere la memoria di un vissuto comune.

La famiglia Rizzato, che ha abitato per parecchi anni all’inizio del Biron di Sotto, proviene da Zugliano, da dove è venuto, alla fine del 1800, il bisnonno di Gianfranco Rizzato.

All’inizio hanno abitato a villa Rota Barbieri, poi si sono trasferiti nella fattoria al Biron, per lavorare i campi.

La proprietà del terreno e della casa era delle signorine Fiorasi.

Erano due sorelle, Bice e Teresina, che, quando Gianfranco era ragazzo, abitavano in corso Fogazzaro.

Nell’edificio della fattoria c’era, riservata a loro, la parte ‘padronale’, con un ampio salone affrescato.

Quando la scuola elementare di villa Rota Barbieri è stata usata per alloggiare gli alluvionati del Polesine, alcune classi furono ospitate proprio in questa parte della casa, come ricorda qualcuno degli scolari di allora.

La campagna che loro lavoravano era terra buona, ma era valutata bene soprattutto perché c’erano molti gelsi, che erano preziosi negli anni in cui si allevavano i bachi da seta nelle case di campagna.

I gelsi erano sapientemente disposti lungo le strade dei campi per facilitare il lavoro di quelli che dovevano ‘fare la foglia’, come si diceva allora,che di solito erano le donne di casa, magari aiutate dai ragazzi.

La fattoria aveva un ampio ‘selese’ in mattoni, cioè l’aia per essiccare il frumento, che di solito non era abbastanza asciutto per essere messo in granaio dopo la trebbiatura.

Vi portavano il loro grano anche i contadini dei dintorni che non avevano l’aia. I ragazzi erano incaricati di tenere lontano il pollame che vagava per il cortile.

Ci volevano tre o quattro giorni di aria e sole. Il mais allora era coltivato in quantità molto limitata, solo per la polenta, e le pannocchie si prestano comunque a essere appese per essiccare.

Ampie zone nei dintorni della loro terra servivano per prelevare argilla per le fornaci, per esempio dove attualmente c’è Auchan e la zona di santa Bertilla.

Le cave rimaste vuote, ‘i scavi’ come li chiamavano, erano terreno di gioco ma anche di pesca.

Era tutta campagna, tanto che una delle ‘cavesagne’, su cui passavano anche i mezzi delle fornaci, arrivava fino a viale Crispi.

Poi le cave sono state riempite con le macerie dei bombardamenti e infine vi hanno edificato sopra tutto quello che vediamo attualmente

Intorno agli anni Sessanta, soprattutto con la costruzione del Villaggio del Sole, molte cose sono cambiate anche per loro.

Si sono trovati a far parte della nuova comunità che nasceva nel quartiere, hanno anche partecipato a molte delle iniziative.

Nella loro corte allestivano i carri mascherati, insieme a Oliviero, ed era un gran lavorare ma anche un gran diver-timento.

Soprattutto hanno aiutato il parroco, don Gianfranco, nelle sue tante iniziative.

All’inizio, quando usavano la baracca come chiesa, sono andati a prendere il pavimento con il carro della fattoria … e poi le sedie, avanzi del Duomo.

Hanno sempre conservato un legame con lui, anche quando è andato via dalla parrocchia del Villaggio. Gianfranco Rizzato ricorda di essere andato a trovarlo all’ospedale, e don Gianfranco, che aveva perduto la vista, lo ha riconosciuto dalla voce.

Col passare del tempo la loro famiglia di origine si è modificata, anche per la morte dei più vecchi, e così hanno lasciato il lavoro dei campi, per dedicarsi ad altre attività, e hanno lasciato anche la casa del Biron.

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"fare magasin"
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In questa storia manca qualcosa se non si parla del ‘fare magasin’, per cui la fattoria dei Rizzato era conosciuta non solo nei dintorni ma anche in città.

Ogni anno, di solito a san Giuseppe, 19 marzo, nella fattoria si metteva fuori la ‘frasca’ che era il segnale dell’apertura del ‘magasin’.

Nel loro ampio cortile mettevano in vendita il vino della loro cantina, con pan biscotto, salame, uova sode.

Molte persone venivano dalla città, spesso a piedi, o in bicicletta, facevano una passeggiata e si fermavano a mangiare e a bere.

Anche nelle sere dei giorni feriali molti si fermavano da loro, per esempio operai che tornavano dal lavoro, però soprattutto di festa venivano intere famiglie, anche per i bambini era un divertimento.

In realtà non avevano moltissimo vino, perché non avevano dei veri e propri vigneti,ma delle ‘piantà’, cioè dei filari, però producevano buon vino, merlot, marzemino, garganego, che tutti bevevano volentieri. Inoltre era la stagione giusta anche per le uova, quando le galline ne facevano tante e prima che cominciassero a covare.

Quando poi avevano finito le uova del loro pollaio, c’erano quelle del ‘polastraro’ Girardello.

La loro roba generalmente costava poco, e finché durava la gente continuava a venire.

Si cominciava a san Giuseppe, poi c’erano le feste delle Palme, di Pasqua e di Pasquetta, e poi l’ottava di Pasqua.

E si andava avanti finché finiva il vino e si tirava giù la frasca.

Quando il loro vino era finito, oppure se pioveva o faceva un po’ fresco di sera allora la gente andava nelle osterie vere e proprie, che non mancavano certo anche nei dintorni.

C’era Tullio Perozzi, Pendi, Marini, soprattutto l’Albera.

Ma il tempo del ‘vino alla frasca’ era tutta un’altra cosa, perché ritornava ogni anno con la bella stagione e durava poco, era un’occasione da non perdere