.

.
.
.
.  

I ricordi che questa storia ci propone sono tutti legati al laborioso affaccendarsi delle persone in una zona e in un periodo che, attraverso tante fatiche, ha consentito a queste famiglie di raggiungere tranquillità e benessere.

Come è avvenuto per la maggior parte dei vecchi abitanti del Villaggio, le cui storie si intrecciano con questa.

.
.
.

Non so da dove siano arrivati i nostri avi, perché il nostro cognome è “unico”, non ci sono altri che lo portano.

Siamo parenti da parte materna di una famiglia “da sempre” in Viale Trento: i Casagrande.

L’attività praticata dalle due famiglie è stata sempre quella del commercio.

Gli zii Casagrande formavano una famiglia numerosa (8 figli) e avevano salumeria.

Maria era la merciaia con negozio dove c’è l’immagine della Madonna sul muro di casa.

La mia mamma, morta nel 1948, mi raccontava che comunque la povertà della zona ( la borgata da Pavan a Miolo ) era grande e che il giorno dei morti erano soliti andare a carità.

Il papà faceva il calzolaio e appena era tornato dal fronte aveva avuto il posto di portalettere, ma poi aveva dovuto cederlo agli invalidi,

Gli Ubaldi avevano un bazar: lì si trovava di tutto, ma proprio di tutto.

La gente che veni­va dalla periferia si fermava e trovava articoli di ferramenta, merceria

All’inizio le cose erano andate benino, ma nel 1940 c’è stata una crisi che ha provato moltissimo la famiglia: le strade erano deserte …

Nei mesi caldi le persone uscivano in strada e si potevano vedere donne e bambini seduti in fila davanti alle case a mangiare … caffelatte.

Passavano spesso gli zingari in entrata o in uscita dalla città: allora tutti passavano parola e i bimbi venivano portati in casa, perché si raccontava di rapimenti.

Ora sono qui … vicini.

La guerra è stata triste. Nel 1944 c’è stato il famoso bombardamento: mia mamma è scappata con la nipotina nei campi dove ora sorge il Villaggio, ma è stata colpita e ha perso un occhio.

Lungo la Seriola i poveri pescavano il pesce per mangiare.

Viale Trento era asfal­tata, ma le strade limitrofe no. Lì attorno c’era solo campagna, poche le case.

Dopo la guerra le cose sono cambiate: si andava a Milano a comprare la merce da vendere al bazar: le ragazze, quando ricevevano la paga, venivano ad acquistare qualco­sa per farsi la “dota”, un po’ alla volta.

Questa attività è stata portata avanti da mia sorella, che mi ha fatto da mamma, e per qualche tempo da sua figlia, fino a chiudersi nei primi anni 2000.

Nel 1945 abbiamo cominciato a produrre in casa tappi a corona: 500 tappi al giorno in tre persone.

Poi ci siamo spostati in un ambiente un po’ più grande lungo il fiume finché nel 1953 mio cognato ed io abbiamo acquistato “ di là dalla strada” un lotto di terra e abbiamo costruito un capannone dove abbiamo lavorato fino al 1965: da allora siamo a Motta.

Nel 1953 il Comune ha acquistato la campagna dell’avvocato Colognato, gestita dalla famiglia Griggio, e la parte di proprietà delle sorelle Fiorasi, che si estendeva fino al Biron di Sotto, per costruire il Villaggio.

Sorte le prime case, ricordo l’inaugurazione di Fanfani.

All’inizio noi eravamo perplessi pensando che arrivasse una quantità di persone “disperate”: noi ormai eravamo, per così dire, benestanti.

Ci chiedevamo “ Cosa succederà?”.

I primi momenti furo­no difficili, perché, anche se abbiamo acquisito clienti, alcuni facevano veramente fatica a pagare.

Poi è arrivato il benessere e allora è cambiato anche il modo di vivere.