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Elena Ceron è figura familiare qui al Villaggio, di cui conosce bene la storia con tutte le sue trasformazioni.

Ha contribuito, con intelligenza e sapere pratico, alla vita e alla crescita di questa comunità e continua a sentirsene partecipe.

Imparare a stare insieme è una sua peculiare attenzione, nuovamente utile oggi agli immigrati, che hanno il vantaggio di trovare qui una comunità matura, già allenata alla convivenza

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La signora Ceron è una delle persone presenti al Villaggio fin dagli inizi.

Con la sua famiglia, marito e due bambini, è venuta ad abitare qui nel 1960.

Prima abitavano nella zona dei ferrovieri (otto anni in poco spazio, con acqua e servizi promiscui), da quando si erano sposati.

Ma la sua famiglia di origine era residente a Laghetto, proprio dove si trova la villa dei conti Barbaran, con la chiesetta.

Suo padre lavorava la campagna che la famiglia Dalla Pozza aveva acquistato dai conti.

Elena ha vissuto tutta la sua vita di bambina e di ragazza in questo ambiente, di cui conserva ricordi molto cari.

Viveva qui con la sua famiglia durante la guerra e tra i suoi ricordi ci sono anche i soldati tedeschi che erano alloggiati nella villa e che le insegnavano a ripararsi sotto l’arco della porta durante i bombardamenti.

Il 18 novembre del 1944 anche la sua famiglia ha subito gravi perdite, tanto che quando lei è tornata a casa dal lavoro nel pomeriggio di quella giornata, i suoi quasi non potevano credere ai loro occhi, perché nella confusione angosciosa di quella giornata pensavano che anche lei fosse morta.

Ha sempre lavorato come sarta, il mestiere imparato da giovane.

Per un certo periodo ha cucito vestiti per … bambole, quelle splendide bambole di una volta, da collezione più che altro, con i loro bellissimi e preziosi abiti.

Aveva una ‘modella’ e cuciva gli abiti su misura di questo manichino un po’ particolare.

Sembra un lavoro da favola, invece era un lavoro vero che richiedeva una grande abilità nella cura dei particolari.

Lavoro che ha dovuto lasciare quando la sua famiglia è diventata più numerosa con la nascita dei figli, la terza è nata qui al Villaggio.

Ma ha continuato comunque a lavorare, compatibilmente con il tempo disponibile.

È stato anche un modo per stabilire e mantenere rapporti con molte persone, che rimangono vivi nonostante siano passati tanti anni.

Quando è venuta ad abitare al Villaggio si è sentita un po’ spaesata all’inizio, perché le persone erano molto diverse tra loro ma piano piano e con fatica ha potuto costruire con le famiglie vicine un modo condiviso di stare insieme, delle nuove piccole regole.

Inoltre ha trovato il modo di partecipare alla vita del quartiere, in particolare attraverso le attività della parrocchia. Anche lei, come molti che sono qui dagli inizi, ricorda l’umanità di don Gianfranco, il primo parroco, maestro dello stare insieme.

La partecipazione è ancora oggi l’elemento che caratterizza il suo abitare al Villaggio.

Nei limiti del possibile spende molto del suo tempo e delle sue energie nella comunità.

Le cose sono cambiate molto, dagli inizi, ma ci sono situazioni di disagio vecchie e nuove che sembrano sempre le stesse, e c’è bisogno di qualcuno che se ne faccia carico.

Parecchi dei primi abitanti non sono più qui, alcuni sono morti e altri sono andati altrove.

Anche sulla sua scala abitano adesso alcune famiglie di stranieri.

Per alcuni aspetti è come un ritorno agli inizi, quando si arrivava qui senza conoscersi, imparando un po’ alla volta a stare insieme. Quello dello “stare insieme” è un aspetto caratteristico del quartiere ed Elena ne è un’attrice attenta e critica.

Elena sta bene qui al Villaggio del Sole perché c’è quiete, mentre “non si fa mancare la città” facilmente raggiungibile.

Lei, come altri dei vecchi abitanti, non lascerebbe il quartiere per andare altrove: il periodo più lungo della sua vita è trascorso qui, in questo ambiente sono cresciuti i suoi figli, qui è morto, alcuni anni fa, suo marito, qui la sua presenza è familiare a molti e molti sono familiari a lei.

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