primo corsivo redazionale

Questa non è una storia, ma l’insieme di tante storie,anche se soltanto accennate, ricordate qui per non dimenticare il contesto laborioso in cui il Villaggio del Sole è sorto.

La strada statale 46, che da Vicenza va verso nord, per noi oggi si chiama strada del Pasubio e Viale Trento. In altri tempi è stata chiamata strada di Vallarsa e di borgo santa Croce. Rispetto al Villaggio del Sole viale Trento costituisce in qualche modo il collegamento principale e l’ingresso “ufficiale”.

Da questa parte, infatti, superata la rotonda e giunti su via del Sole, abbiamo la vista completa del Villaggio perché la parte centrale, con la chiesa e gli altri edifici, è più bassa delle case e ci consente, alberi permettendo!, di vedere tutta via Colombo.

Una parte degli abitanti di viale Trento e di via Pasubio fa riferimento al Villaggio del Sole, per la parrocchia e per la scuola, fin dagli inizi del quartiere, così si sono intrecciate le vicende familiari, le attività e gli interessi.

Per ricostruire questo passato recente abbiamo parlato con molte persone delle famiglie che abitavano e lavoravano in questa zona.

Sono nomi che tornano spesso anche nelle nostre storie, come Miolo, Fortunato,Pavan, Dalla Fontana, Povoleri, Calgaro, e altri ancora. Cerchiamo qui di dare un ordine a quanto abbiamo raccolto.

Lungo via Pasubio, in direzione della città,in vicinanza della rotonda, troviamo l’Albera

Oggi è una pizzeria, ma la località e il locale stesso hanno una lunga storia. Qui c’era una trattoria, con gioco delle bocce, che era molto conosciuta e frequentata.

Ne parlano nei loro racconti diverse persone, in particolare la famiglia Calgaro che ha gestito la trattoria, e Povoleri ricorda che il sabato c’erano più persone che sedie.

 

Proprio di fianco alla trattoria esercitava la sua attività Lio Miolo, uno dei fratelli ‘botari’, di cui ha parlato Roberta Dalla Fontana.

Lì vicino c’era la fonderia Velo, ora trasferita in zona industriale,che faceva, e fa ancora, i chiusini di ghisa.

Di fronte, dall’altra parte della strada, c’è la casa dei Povoleri, che vi abitano dal 1927 e hanno esercitato attività di commercianti di bestiame.

Avevano una fattoria , affittata in parte all’Ispettorato agrario per la fecondazione bovina artificiale.

L’attività è cessata, ma la casa e le strutture varie ci sono ancora, e vi abita il signor Enzo Povoleri che racconta tutto questo.

Anche dove attualmente c’è l’altra pizzeria, 2Fogher, c’era un’osteria, che ha cambiato più volte gestione.

Se torniamo indietro, allontanandoci dalla città, troviamo il ristorante Storione.

Quel locale era un’osteria, detta ’Do boti’, gestita, prima degli inizi del Villaggio, da una signora molto energica, che fumava il sigaro e sapeva far rigare dritti i suoi avventori.

In viale Trento, tra il fiume Bacchiglione e la roggia Seriola, ora interrata, si svolgevano diverse attività.

C’erano i Bonvicini, commercianti di ferro, più o meno di fronte ai Saveriani e un negozio di abbigliamento e merceria.

Sempre su viale Trento c’era il laboratorio di falegnameria di Calibran, che faceva anche i biliardi.

 

Lungo il Bacchiglione scendevano i barconi dei ‘sabionari’.

   

Le cave di sabbia erano alla confluenza del torrente Orolo col Bacchiglione, nella zona Capitello.

 

Poi i barconi scendevano verso la città, scaricavano la sabbia vicino a ponte Pusterla, ma anche all’altezza di viale Trento.

   
Quindi c’era il traffico dei carri per il trasporto della sabbia.

Su questi barconi, ornati con fiori e bandierine, nei giorni di festa, durante la bella stagione, si poteva scendere in città cantando e ballando, come su balere in movimento, lungo il fiume, racconta Armando Pavan, attento ‘custode’ di memorie.

Sempre sull’argine del fiume, dove attraccavano i barconi dei ‘sabionari’ si trova un bel ‘capitello’ dell’Ottocento, che sta proprio dietro le cosiddette case del Barba.

Una parte delle casette allineate su viale Trento, infatti, sono state costruite, per sé e per i figli, da Antonio Pavan, soprannominato Barba, nonno di Armando.

Nato nel 1848 e morto nel 1908, qualche anno prima di morire, intorno al 1905, ha costruito queste case, che hanno conservato il suo nome, anzi il suo soprannome.

E’ una delle figure ‘mitiche’ della zona; mediatore di prodotti agricoli, esercitava un certo fascino, dicono le ‘leggende’ con la sua parlantina sciolta e la barba, appunto, che caratterizzava la sua figura.

Ancora sul Bacchiglione, di fronte all’attuale supermercato, dove c’è adesso una carrozzeria, c’era la fabbrica di botti dell’altro Miolo, Antonio, fratello di Lio.

Antonio Miolo aveva un’attività che si può definire industriale, ha avuto anche una ventina di dipendenti.

C’era un intenso movimento nel cortile della fabbrica, molto nota anche fuori dal territorio di Vicenza.

Le sue botti venivano vendute in diverse parti d’Italia. Nelle nostre storie l’attività dei ‘botari’ viene ricordata più volte, da persone diverse.

Antonio Miolo era nato nel 1880 e aveva sposato Maddalena Augusta Pavan, figlia del Barba, legando così insieme le vicende di due delle famiglie più conosciute da queste parti. Hanno avuto 6 figli, cinque femmine e un maschio.

Antonio Miolo è stato ucciso da un tedesco in ritirata il 28 aprile del 1945, nel cortile della sua fabbrica.

Nel cimitero di Vicenza la lapide della sua tomba ricorda la barbarie di questa morte assurda e anche la sua qualifica di ‘industriale’

L’attività continua col figlio,Ferdinando, e quando questi muore, a soli 33 anni, viene portata avanti da uno dei generi, Antonio Fortunato, fino agli anni Sessanta.

Viale Trento era una delle uscite importanti di Vicenza verso nord, perciò aveva la sua stazione del dazio, nell’angolo di verde ora vuoto vicino al campo nomadi.

Per comprendere meglio l’importanza di viale Trento dobbiamo tener presente che fino a cinquanta, sessanta anni fa non c’era viale Diaz e non c’era neppure via Pecori Giraldi, quindi non c’era la ‘rotonda delle cinque strade’ 

La statale 46 era percorsa da un traffico vivace.

Vi passava il ‘tram’ che andava al Moracchino, i carri per il trasporto di varie merci, le automobili benché ancora rare, e soprattutto tante biciclette.

Non per niente c’erano ben tre osterie, luoghi di sosta e di ristoro per tanta gente di passaggio.

L’immagine che viene fuori da queste poche notizie è quella di una parte della città, appena fuori le mura, molto dinamica, indaffarata in varie attività produttive, che sono collegate al lavoro agricolo ma anche a quello industriale e di ricostruzione urbanistica.

Il Villaggio del Sole si inserisce in questo contesto, con cui ha molti punti di contatto, quasi come continuazione e completamento