dal Bangladesh
 

   

 
 

La storia della signora Afroja è scandita da ‘incontri’:

la signora Giovanna, l’ostetrica, l’anziano missionario, e poi le istituzioni:

i corsi organizzati per gli stranieri, la biblioteca del quartiere, la scuola, il servizio sanitario.

Così nasce e si consolida la possibilità di scambiarsi esperienze e affetto, promuovendo a ‘nonna’ la signora Giovanna.

     
   

 

Mio marito era già in Italia da 13 anni, prima a Roma e poi (da 8-9 anni) a Vicenza.

   

 

Ci hanno scelti, com’è nostro costume, i nostri genitori verso il 1970-74.

   

 

Ci siamo parlati al telefono e scambiati delle foto ma non ci bastava.

   

 

In Bangladesh avevo un lavoro che mi piaceva perchè attraverso una organizzazione non governativa (ONG) potevo aiutare i più poveri, interessarmi al microcredito che è un’esperienza molto interessante, ma mio marito mi voleva in Italia.

     
   

 

Dopo 2 anni sono arrivata e mi sono trovata in un ambiente completamente nuovo.

   

 

Ricordo sempre la prima nevicata: non avevo mai visto la neve.

   

 

Mio marito mi diceva di non uscire, perché si scivolava.

   

 

Ma io piano piano ce l’ho fatta ad andare fuori.

   

 

E’ stata un’esperienza che non dimenticherò.

   

 

Ma soprattutto ho avvertito la difficoltà della lingua perchè non riuscivo a farmi aiutare e per di più rimasi subito incinta; ero molto sola perché non riuscivo a comunicare.

   

 

La signora Giovanna di via Brigata Liguria voleva aiutarmi ma io non capivo, facevo solo dei grandi sorrisi.

     
   

 

Mi arrangiai un po’ a imparare l’italiano con mio marito alla sera e un po’ usando l’inglese ma feci subito ricorso alle lezioni di italiano per stranieri della scuola Ambrosoli.

     
   

 

Adesso voglio frequentare il livello superiore che mi consente di avere un diploma ufficiale.

     
   

 

Per fortuna l’ostetrica che mi ha aiutato in maternità conosceva un po’ di inglese e me la sono cavata.

     
   

 

La signora Giovanna ha continuato a insegnarmi molte cose anche sui bambini ,come prenderli per lavarli, come nutrirli, ecc., proprio come avrebbe fatto una mia parente, tanto che mia figlia Adiba la chiama ‘nonna’ Giovanna.

     
     

 

Anche qui non voglio rimanere sempre in casa: ho fatto la mediatrice culturale in asili nido, scuole materne ed elementari ed ho lavorato anche per i Servizi Sociali del Comune e per dei consultori.

     
     

 

Faccio anche la cassiera in un supermercato vicino a casa.

     
     

 

Mi trovo bene qui; in Italia non si paga la scuola né il medico mentre in Bangladeh tutto ha un costo e qualche ONG cerca di aiutare i più poveri a sostenere queste spese..

     
     

 

Credo che gli italiani siano in parte buoni e in parte cattivi come da per tutto ma la mia presenza qui è bene accettata e io mi trovo bene.

     
     

 

Conosco un ‘padre’ italiano che è stato 50 anni in Bangladesh ed ora vive qui vicino, in viale Trento. Lui è di religione cristiana cattolica e io sono mussulmana ma non è un problema.

     
     

 

Mia figlia va a scuola qui e frequenta molto la Biblioteca del quartiere: prende a prestito anche tre libri per volta.

     
     

 

Non gioca tanto coi soliti giocattoli e per addormentarsi si porta a letto un libro.

     
     

 

Anche sua nonna gliene manda dal Bangladesh in lingua locale così lei parla sia la lingua italiana sia quella del nostro paese d’origine.