Le famiglie che hanno popolato il Villaggio negli anni iniziali. vi sono giunte con un carico di aspettative e di progetti.

Adesso, nella casa carica di memorie e di immagini che testimoniano il tempo trascorso, Maria e Guglielmo Freato ricordano volentieri e comunicano un tranquillo senso di soddisfazione e un forte legame con il quartiere nel quale hanno vissuto questi cinquant’anni.

 
 

Nel mese di giugno del 1960, quando Fanfani ha consegnato ufficialmente le benedette chiavi, la prima famiglia a riceverle è stata proprio la loro.

     

Poi hanno accompagnato Fanfani a visitare il loro appartamento come uno dei tipi di abitazione INA Casa del Villaggio del Sole.

   

E’ un ricordo ancora vivo, anche perché segnava l’inizio di una vita diversa che in questa casa ha avuto la propria storia, ed è qui che abitano tuttora.

 
   

Venivano da Olmo, dove, nella vecchia chiesa, si erano sposati nel 1949.

 
   

Avevano due figli e la nonna Freato, ottantenne, che viveva con loro, come spesso accadeva all’epoca.

 
   

Il padre di Guglielmo Freato era nato in Brasile, da una famiglia di emigrati che, tornando in Italia aveva acquistato terra e casa a Ponte Alto.

 
   

Strettamente parlando , raccontano, non avevano una condizione abitativa così pesante, a Olmo, ma certo venire al Villaggio del Sole ha avvicinato lui al lavoro e la casa offriva maggiori comodità.

 
   

D’altra parte, commenta Guglielmo, non tutti quelli che inizialmente hanno avuto la casa qui venivano da un forte disagio abitativo.

 
   

C’erano anche condizioni di povertà, si diceva per esempio che in qualche famiglia i bambini più piccoli venissero messi a dormire nei cassetti dell’armadio, perché mancavano i letti.

    L'Onorevole Amintore Fanfani al taglio del nastro
   

Ma molti avevano un lavoro buono e sicuro, e hanno potuto subito stipulare un contratto di riscatto della casa, invece che di affitto.

     
   

Qualche tempo dopo , per favorire chi aveva maggiori difficoltà, il pagamento è stato diluito su tempi più lunghi in rate economicamente meno pesanti.

     
     

Gli appartamenti non erano ancora del tutto completati. Nella loro fila di case mancava il riscaldamento che è stato completato quando loro già vi abitavano.

     
     

La signora Maria ricorda ancora il suo dispiacere per le macchie di ruggine sul pavimento dove gli operai avevano lavorato.

     
     

I primi contatti con il nuovo ambiente sono avvenuti tramite la scuola per i figli e la parrocchia. La bambina ha iniziato la prima elementare, mentre il bambino ha frequentato la quinta.

     
     

Le classi erano divise, maschili e femminili, e il bambino ha avuto come insegnante il maestro Rigo, una delle figure presenti in molte storie dei ragazzi di allora.

     
     

Quanto alla parrocchia, la prima volta che è andata in chiesa la signora ha scoperto di avere un legame di parentela con don Gianfranco, il che ha reso più familiare l’inserimento.

     
     

La nonna poi conosceva la signora Schiavo, e con lei e altre persone ha avuto inizio il gruppo san Vincenzo in parrocchia.

     
     

Per la prima messa, nella baracca degli operai usata come chiesa, non c’era una tovaglia per l’altare e pensavano di usare un lenzuolo, ma poi ne hanno ottenuto una dalla parrocchia dei Carmini.

     
 

Nella loro casa c’era il telefono già installato, e per il quartiere abbastanza rapidamente è stato ottenuto il servizio di autobus che facilitava gli spostamenti. 

     
  Nell’insieme il loro abitare nel Villaggio si è rivelato un fatto positivo.      
 

La casa è spaziosa e bene esposta alla luce e all’aria, le strade interne al quartiere sono tranquille e gli spazi per i giochi dei ragazzi danno vita a tutto il quartiere.

     
 

I lunghi anni vissuti qui e la partecipazione alla vita della comunità hanno creato dei rapporti con molte persone.

     
 

Ancora attualmente la signora Maria partecipa all’attività di un gruppetto di donne che si danno da fare con cucito, ricamo, uncinetto, vendendo le loro creazioni per opere benefiche.

     
 

E’ anche un buon modo di stare assieme, nello spazio comune del centro sociale.

     
 

Ci sono senz’altro posti migliori dove vivere, dice la signora, e anche possibilità diverse di diventare più ricchi, dice il marito, ma niente di tutto questo dà soddisfazione come l’aver vissuto e fatto crescere i figli nel benessere familiare e comunitario che questa casa e questo quartiere hanno saputo creare.