Santa Caterina

 
       

 

   

 

               

Ogni storia è unica a modo suo, e quella che ci racconta la signora Silvestri lo è certamente perché ha in più la ricchezza di una diversità particolare.

Anche questa storia fa parte del patrimonio comune e condiviso che contribuisce al buon vivere nel Villaggio.

 

 

 

Noi siamo venuti ad abitare al Villaggio il 13 giugno del 1960.

     

Eravamo in sei persone, noi due con i nostri due bambini, la mamma e mio fratello.

Venivamo da santa Caterina, dove abitavamo l’appartamento del sacrestano, dato che Sandro, mio fratello, faceva questo lavoro.

 

Mi è piaciuto da subito abitare qui.

Poi lui si è ammalato e siamo stati sfrattati, per lasciare la casa al nuovo sacrestano.

     

Per un certo periodo, mentre aspettavamo che fosse finita la casa che ci era stata assegnata qui, siamo stati alloggiati nel teatro in disuso della parrocchia.

     

Ogni domenica venivamo a vedere il Villaggio in costruzione, l’abbiamo proprio visto crescere con i nostri occhi.

Abbiamo preso la casa a riscatto, e abbiamo partecipato alla richiesta di riduzione della rata che si pagava mensilmente alla Gescal, erano quindicimila lire, e sono state ridotte a dodicimila con un allungamento del periodo di rimborso.

   

Per molte famiglie e anche per noi faceva una certa differenza, tenendo presente che lo stipendio mensile si aggirava sulle quarantacinquemila lire.

     
   

Avevo una certa familiarità con questi problemi perché avevo lavorato in una assicurazione prima di sposarmi, ma poi sono rimasta a casa.

     

Qui ci siamo subito organizzati per far funzionare bene la vita del condominio:Inizialmente mio marito Adriano ha fatto da caposcala per lungo tempo, poi ci si è accordati di fare turni di un anno o due.

C’era molta collaborazione da parte di tutti. Sulla nostra scala c’erano trentaquattro abitanti.

Ci si aiutava in tante piccole cose di tutti i giorni.

L’anziana  signora Freato del piano di sotto insegnava a noi più giovani a far da mangiare.

Lei era molto brava.

Faceva un dolce, la torta di rose, che è diventato quasi un dolce caratteristico del condominio, perché abbiamo imparato tutti a farlo.

Ci aiutavamo anche per i bambini piccoli, per i malesseri più comuni, chi sapeva dava consigli per i rimedi più semplici.

I miei due figli più piccoli sono nati qui al Villaggio, mentre il primo aveva già l’età dell’asilo.

Fin dall’inizio abbiamo fatto una raccolta di firme per poter avere le suore per l’asilo.

Abbiamo avuto un buon sostegno da don Gianfranco e dalla signora Luciana Brunello, che lavorava al centro sociale per il quartiere.

Finalmente è stato aperto l’asilo a Villa Rota Barbieri, la ‘casa del sole ’.

Io ci venivo da bambina, in periodo fascista, quando funzionava come ‘solario’, era un bel posto con uno splendido boschetto dove ci facevano riposare all’ombra nei momenti più caldi della giornata.

Noi avevamo la nostra bambina, Laura, che per la sua disabilità non aveva ancora potuto frequentare nessun tipo di asilo/scuola.

D’altra parte ha cominciato a camminare piuttosto tardi.

Quando ho portato all’asilo la seconda bambina, la suora che ne era responsabile mi ha incoraggiata a portare insieme anche Laura, assumendosene personalmente la responsabilità.

 

E’ stato un nuovo inizio, perché Laura è rimasta all’asilo, con la sorellina, finché è entrata nella scuola speciale che ha poi frequentato per otto anni.

Per Laura il Villaggio è stato ed è ancora il suo mondo, dove conosce le persone e sa mantenere dei rapporti affettuosi.

Non è stato sempre facile, per noi, ma abbiamo scelto di far vivere Laura il più possibile tra le persone del vicinato e della comunità, anche quando c’erano delle difficoltà. .

Il Villaggio si presta a favorire i rapporti, per la sua forma che coinvolge e fa incontrare chi esce di casa con gli altri.

Anche perché le persone qui sono semplici, c’è una bella umanità.

Io qualche volta vado al parco giochi e vedo che ancora c’è una bella coesione, mi sembra che anche le mamme di adesso abbiano imparato a stare insieme come facevamo noi.

Per me Laura ha fatto quasi da intermediario con il quartiere, e in generale nei rapporti con l’esterno.

C’è stato un periodo molto difficile per noi, quando io mi sono ammalata e sono dovuta stare via di casa per sette lunghi mesi.

Il bambino più grande aveva otto anni e il piccolo un anno e mezzo.

Laura è stata portata in istituto, a Thiene, in una classe di trenta bambini, una cosa pesantissima.

Ma qualcuno ci ha sempre dato una mano.

Chi aveva la macchina accompagnava mio marito a trovare me e a trovare Laura, ricordo in particolare Silvano Motterle.

Abitare al Villaggio del Sole, anche in questo caso, ha significato molto per noi tutti.