La memoria vivace di Enzo Povoleri ricostruisce per noi un altro frammento di storia precedente la costruzione del Villaggio.

E’ storia di attività, di interessi, di rapporti e di legami tra persone che si sono trovate a vivere nei primi decenni del 1900 in questa periferia della città.

Parte di questa storia è diventata anche eredità del Villaggio che può riconoscere qui qualcosa delle sue radici.
 

 

     
   

Enzo Povoleri è figlio di Celestino Povoleri, detto “ponciaovi”, c’era infatti l’usanza di chiamare tutti con un soprannome che compariva abitualmente anche nell’indirizzo postale.

     

E’ nato nel 1925 e abita nella casa di viale Pasubio dal 1927, cioè da 80 anni.

Pochi altri qui in zona hanno tanta storia e tante storie da raccontare,anche perché le persone dei dintorni si conoscevano tutte e “ci si cercava se passava del tempo senza incontrarsi”.

Celestino Povoleri aveva venduto a Toni Miolo il terreno su cui è sorta la fabbrica di botti, e poi con i grossi carri di Povoleri si trasportavano le botti fino alla stazione ferroviaria.

Enzo era figlioccio di Toni Miolo.

Nel 1949, a 24 anni, Enzo è emigrato in Argentina dove però è rimasto solo un anno.

Anche quattro fratelli di suo padre erano emigrati, ma non avevano avuto fortuna e anche la sua non è stata un’esperienza positiva.

Forse non era il momento giusto, lo stato era ‘militarista’ dice, “non era aria” per lui. Intorno alle città, pur belle, c’erano grandi baraccopoli, si poteva mangiare bene ma per tutto il resto si stava male.

Molti emigrati tenevano duro e restavano là, anche se era impossibile mettere da parte dei soldi.

Si vergognavano di ammettere che non avevano fatto fortuna, qualcuno raccontava frottole sulle ricchezze accumulate, su belle case.

Ma lui ha pensato che era meglio “mangiare pane e croste di formaggio in Italia piuttosto che bistecche in Argentina” e così è tornato a casa.

Era partito con 100.000 lire e meno male, dice, che a Genova, prima di imbarcarsi, ne aveva cambiate in pesos solo 50.000.

 

Le altre 50.000 lire le ha sempre conservate, anche se tutti volevano i soldi italiani perché il pesos andava male.

Gli sono servite per il ritorno, quando ne ha speso, per il solo biglietto, 36.000.

Dalla stazione ferroviaria di Vicenza ha preso un taxi che è stato pagato da sua madre, quando è arrivato a casa, perché lui era rimasto senza un soldo in tasca.

Da allora è sempre rimasto in questa casa. Si è sposato e ha avuto tre figli.

La moglie è morta, da molti anni, nel 1983. Aveva lavorato come infermiera al manicomio ed era andata in pensione appena possibile.

Lui ha fatto sempre il commerciante di bestiame seguendo suo padre e continuandone l’attività.

Avevano una grande stalla, parte della quale era affittata all’Ispettorato Agrario che vi gestiva la fecondazione artificiale.

Suo padre andava a prendere il bestiame in Alto Adige (Malles e Campo Corones) e lo rivendeva nei mercati locali spingendosi dal veronese al Piave oltre ai mercati vicini di Lonigo, Schio, Vicenza e altri.

Lui ha continuato questo lavoro fino al 1984.

Avevano uno dei pochi telefoni della zona: era il numero 896. Un altro telefono l’aveva Toni Miolo, l’industriale delle botti, mentre il fratello di questi, Lio, pure bottaro, veniva a casa loro quando aveva bisogno del telefono.

Di fronte alla loro fattoria c’era l’osteria all’Albera , dove si poteva giocare a bocce, era un punto di passaggio molto frequentato e di sabato sera c’erano più avventori che sedie.

Il loro terreno, come tutto quello lungo il Bacchiglione qui in zona, veniva frequentemente allagato.

Ricorda in particolare la ‘brentana’ del 1955 quando il fiume tracimò superando anche viale Trento per allagare i campi oltre la Seriosa, dove oggi si trova il supermercato.

L’acqua del fiume scorreva poco, chiusa da sbarramenti vicino a Padova e respinta dalle maree dell’Adriatico. Ogni ‘brentana’ depositava fango, così si alzava l’argine del fiume e il livello del terreno circostante.

Anche lui, come gli altri vecchi abitanti della zona, ha visto nascere il Villaggio del Sole, che è stato costruito sui campi di Enzo Colognato

Era una campagna molto buona che qui veniva chiamata ‘fegato’, cioè la terra migliore.

Ha visto anche la costruzione di viale Diaz con un ponte sul Bacchiglione, a partire dalla postazione del dazio che stava all’angolo libero vicino ai nomadi, e proseguendo verso viale Dal Verme.

Ricorda anche l’insediamento dei nomadi. All’inizio erano senza acqua, e ha dato loro la possibilità di venire a prendersela nel suo cortile, sempre aperto.

Veniva una delle loro donne, incinta, col suo pancione sempre più grosso, con i secchi in mano.

Una volta le ha prestato il ‘bigòlo’ e poi, a gravidanza più avanzata, anche una carriola, perché non si facesse del male. Il marito della donna, Tano, è venuto a ringraziarlo e gli ha promesso che i suoi avrebbero sempre rispettato la sua casa, col suo cortile sempre spalancato.

Una promessa mantenuta.

Col Villaggio i rapporti non sono mai stati particolarmente intensi. Conosceva bene il primo parroco don Gianfranco Sacchiero, perché anche lui era figlio di un commerciante di bestiame della zona di Montebello.

Nel nuovo quartiere hanno frequentato la scuola elementare i suoi tre figli.