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Racconti di stranieri

immigrati

dal Pakistan

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Nazir Saqib è un esempio di straniero ben inserito in Italia, a Vicenza.

E’ bello parlare con lui perché si avverte che egli si pone con mitezza e sicurezza.

Il suo punto fortunato sembra essere l’educazione, la capacità di riflessione sulle esperienze che la vita gli fa fare.

In questo modo riesce egli a cogliere le opportunità di crescita anche in situazioni difficili, in paesi lontani.

Da lui si possono imparare ancora tante cose.

                     
     

Mi chiamo Saqib Nazir, vengo dal lontano Pakistan e sono in Italia da circa dieci anni (1997).  

     
           

All’inizio ero senza permesso di soggiorno che ho avuto dopo alcuni anni, comunque in questo tempo trascorso qui ho sempre lavorato e sempre ho tenuto fermo il mio comportamento verso i cittadini italiani e verso coloro che di volta in volta mi hanno dato lavoro: grande lealtà e rispetto.

La Repubblica Islamica del Pakistan (پاکستان in Urdu), o Pakistan, è uno stato dell'Asia meridionale.

Il Pakistan confina con l'India, l'Iran, l'Afghanistan, la Cina ed è bagnato dal mar Arabico.

Ci tengo a dirlo perché se una persona è onesta lo è sia che abbia il permesso di soggiorno sia che ne sia sprovvisto.

Adesso voglio raccontare la mia storia.

 

Studiavo matematica all’università e non ero contento per come andavano le cose: i posti di lavoro erano pochi, non c’erano prospettive.

Decisi allora di lasciare gli studi e di andare all’estero, fiducioso di migliorare la vita mia e quella della mia famiglia. Questa mi sostenne nel mio progetto e mi diede dei soldi.

Emigrai in Russia perché per quella destinazione era facile ottenere il visto turistico: le autorità pakistane non rilasciavano permessi per l’Europa Occidentale perché avevano paura che una volta usciti non si ritornasse più in patria.

Lì però la vita non dava prospettive: conobbi gente diversa di colore e di cultura, le case erano belle; niente di più.

PAKISTAN

E partii verso l’Italia.

Bastava pagare e il viaggio sembrava facile e veloce; dicevano 4 giorni. Imbarcati in Georgia una tempesta ci colse dopo tre giorni e tutti credevamo che la nave affondasse da un momento all’altro.

Invece ci vollero 14 giorni di navigazione spesi soprattutto per evitare i controlli costieri italiani.

Viaggiavamo stipati come pecore, con poco da mangiare perché il viaggio doveva durare poco, bevendo anche acqua di mare condita con olio.

Stavamo male fisicamente ma soprattutto temevamo che in presenza di controlli ci buttassero a mare.

Dopo i primi soccorsi al momento dello sbarco ricevetti il foglio di via stando al quale avrei dovuto lasciare l’Italia entro 15 giorni.

Mi misi in viaggio e a Roma mi fermai pensando di trovare lavoro e intanto dormivo in stazione.

Mi resi conto subito che ero nella condizione di non potermi fare aiutare: non conoscevo la lingua, non avevo amicizie, ero privo di documenti e gli italiani non trovavano in me un appiglio per darmi qualche lavoro.

       

Tentai di andare in campagna e finalmente trovai un signore che mi diede un lavoro da manovale.

Alla sera lui si accorse che io avevo mani e struttura da studente e non da operaio e me lo disse. Però continuò a darmi lavoro e tutti i suoi mi accolsero molto bene a casa loro.

La famiglia Ofria, così si chiamava, era composta dalla nonna, dal padre, dalla madre e da figli e parenti come la mia famiglia d’origine.

Mi piace dire che, nei tre anni passati con loro, ho trovato “ombra” di genitori, “amicizia” di fratelli e perfino “simpatia e carezze” di nonna e ancora oggi, che vivo molto lontano, nei miei sentimenti e nei pensieri sono sempre molto vicino a loro.

 

Lì è ricominciata la mia vita; lì ho ricordato con nostalgia la mia famiglia in Pakistan.

   

Lì ho potuto svolgere altri lavori perché munito di buone referenze del signor Ofria che garantiva anche della mia onestà e buona volontà.

     

Curavo giardini, facevo l’imbianchino, il cameriere: tutti lavoretti occasionali che mi permettevano però di mandare soldi a casa per far studiare i miei fratelli.

       

Nel frattempo infatti era morto per un incidente mio fratello maggiore e io diventavo capo famiglia.

     
       

La famiglia Ofria e le altre persone che avevo conosciute in quel posto mi dettero una mano ed io potei ottenere il permesso di soggiorno.  

     
       

Finalmente potevo girare senza paura, con i documenti in regola.

     
       

Potei anche ritornare in Pakistan, erano passati tre anni e mezzo dall’arrivo in Italia.

     
       

Durante questo viaggio mi fu più chiara la differenza di vita tra i due paesi: molta più organizzazione, puntualità e molto più stress in Italia.

     
       

Ma c’era da vivere.

     
       

Al rientro mi trasferii a Brescia su suggerimento di alcuni amici connazionali.

     
       

Lavorai al “controllo numerico” potendo mettere a frutto le mie conoscenza scolastiche.

     
       

La Ditta però ha chiuso e io mi trasferii a Vicenza dove oggi vivo e aspetto che mia moglie e i miei due figli si ricongiungano a me nell’appartamento che ho appena preso e che sto preparando per la famiglia che mi sono formato.

     
       

Qui a Vicenza Dio mi ha dato un’altra occasione: avevo sempre avuto il desiderio di aiutare altri che hanno bisogno di aiuto.

     
       

Adesso tutto il tempo libero che ho lo dedico allo sportello emigrati RDB, CUB come volontario. In Italia ho potuto imparare molte cose che non avrei potuto apprendere in Pakistan.

     
       

Scrivevo spesso a mia madre: sono nato due volte.

     
       

Quando si nasce infatti si apprende una lingua, si imparano gli usi e le mentalità della famiglia, si conoscono persone. Io qui ho imparato una lingua, conosco la cultura locale e incontro molte persone.

     
       

Mi pare che la mia vita, fatta di sofferenze e di successi, sia ricca.

     
       

Io posso oggi prendere il meglio della cultura locale e il meglio della cultura d’origine, conosco due organizzazioni di vita pubblica e privata.

     
       

Posso prendere il meglio anche delle religioni, la mussulmana e quelle locali.