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Racconti di stranieri |
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immigrati |
dalla Croazia |
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via Canada |
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Noi siamo partiti dalla Croazia nel 1989. Io avevo 25 anni, 29 mio marito e avevamo con noi il figlio di un anno. |
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Era soprattutto mio marito che sognava di andare in America. Una persona che stava a Montreal, in Canada, ci ha “chiamati” consentendoci così di avere il visto. |
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Siamo partiti senza l’idea di restare là per sempre. In Canada abbiamo avuto delle difficoltà e siamo andati in USA, a Chicago. Vi siamo rimasti per più di 3 anni. Intanto è scoppiata la guerra in Jugoslavia. |
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Subito non ci siamo resi conto chiaramente di come stessero le cose perché le informazioni minimizzavano la gravità dei combattimenti. |
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La CNN non spiegava bene quanto stava succedendo. Con poche informazioni confuse siamo venuti via dagli USA, ma non siamo andati in Jugoslavia. Siamo venuti in Italia, a Piovene Rocchette, in provincia di Vicenza, dove c’era un fratello di mio marito, sposato con un’italiana. |
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Era settembre 1991 e il nostro bambino aveva tre anni. A causa di difficoltà ci siamo dovuti trasferire a Tresche Conca, sull’Altipiano di Asiago. |
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Io facevo fatica a capire e a farmi capire in italiano. |
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Ma abbiamo incontrato delle persone che ci hanno aiutato, in particolare i proprietari di un panificio, Danilo e Paola. Appena arrivati, infatti, siamo entrati nel loro negozio e subito ci hanno aiutato a trovare una casa. |
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Abbiamo anche iscritto il bambino all’asilo e questo mi consentiva di parlare con le mamme di altri bambini. A ottobre ho avuto la notizia che mio fratello era morto nella guerra e io volevo a tutti i costi andare al funerale. |
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Ci siamo trovati a dover partire con la macchina senza benzina e c’era lo sciopero dei distributori di carburante. |
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Per fortuna un benzinaio ha capito la nostra situazione e ci ha fatto il pieno di nascosto, durante la notte. | |||||||||||||||||
Andando verso Osijek, la mia città, ci siamo accorti delle difficoltà dovute alla guerra, al passaggio dei confini interni che prima non c’erano. Era pericoloso anche per il fatto che mio marito è serbo, quindi non poteva entrare in Croazia. |
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Mi ha portato a casa mia e quindi, con il bambino, ha raggiunto i suoi genitori. |
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Anche loro hanno fatto un matrimonio misto, serbo-croato, e quindi si erano ritirati in Craina, dove altre coppie miste erano già andate a vivere. |
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Dopo il funerale siamo tornati in Italia. Io lavoravo in un ristorante, facevo un po’ tutti i lavori, servivo anche ai tavoli. |
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La padrona era affezionata a me e mi voleva bene anche se sapevo poco l’italiano. Io dicevo sempre di sì ai clienti e poi mi facevo aiutare dalla cuoca o da altri camerieri. |
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Un giorno al bar qualcuno ha chiesto un Montenegro. Io ho capito che mi dicesse che ero del Montenegro e continuavo a dire di no. |
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Finalmente è intervenuto qualcuno a spiegarmi che il Montenegro era anche un amaro |
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C’era un problema per me difficile da risolvere: la casa. Riuscivamo ad avere in affitto un appartamento arredato per qualche mese ma poi ci mandavano via perché avevano interesse ad affittare ai turisti. Abbiamo cambiato tante volte casa, finché mi sono stancata e siamo tornati in Croazia, nel 1993. |
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Siamo andati in Craina e vi siamo rimasti per 8 mesi. In questa regione infatti gli sfollati di famiglie miste hanno avuto una casa, come risarcimento per quella che avevano dovuto lasciare. |
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Le nostre famiglie avevano lasciato due case e un’attività avviata a Osijek. |
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Ma io non potevo pensare di far crescere mio figlio in quel paese in guerra, non volevo per lui quel mondo. Così siamo tornati in Italia, a Piovene Rocchette, in albergo. |
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Infine abbiamo deciso di venire in città a Vicenza, dove c’erano più possibilità di trovare lavoro e casa. |
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Tra il 1993-94 siamo stati in un miniappartamento in via Legione Antonimi, vicino al Villaggio del Sole, poi in via ‘Ragazzi del 99’, dall’altra parte della città. |
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E’ di questo periodo la nascita di mia figlia e l’apertura del mio primo negozio al Villaggio del Sole. |
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Era il 1997 e mentre della bambina si occupava mia suocera io iniziavo la vendita specializzata di alimentari affumicati e di altri in uso nei paesi balcanici, l’unico del genere in Italia in quegli anni. |
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Ma nel 2000, scaduto il contratto, ho chiuso l’attività anche perché mia suocera si era ammalata e io dovevo occuparmi pure di lei perché non riusciva a comunicare con i medici e con il personale. |
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Quando è stata un po’ meglio è tornata in Croazia. Nel 2001 compriamo l’attuale appartamento (Vicenza, Villaggio dei Fiori) e nel 2003 apro il mio secondo negozio specializzato che ancora oggi sto conducendo. |
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Adesso abbiamo una casa, siamo più tranquilli, io lavoro nel mio negozio. |
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Mio marito ha sempre lavorato in proprio. |
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Ho avuto molte difficoltà con la lingua, ma l’ho imparata bene da mio figlio, studiando con lui. |
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Posso dire di aver incontrato persone che mi hanno aiutato. |
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Una volta a Tresche Conca il Comune ha stabilito di dare un milione delle vecchie lire a ciascuna delle tre famiglie straniere che vi abitavano. |
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E’ stata una cosa molto utile e bella per noi. |
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Molte persone si sono affezionate a me ed io a loro. |
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Ma abbiamo trovato anche persone non disponibili. |
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Per esempio cercando casa, solo a sentire l’accento straniero, mi dicevano di no. In alcune zone c’erano anche dei cartelli con scritto: Non si affitta agli stranieri. |
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Anche per i documenti è andato tutto bene. |
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Abbiamo avuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari nel 1993 ed ora siamo in regola sotto tutti i punti di vista, anzi stiamo avviando la pratica per la cittadinanza italiana. |
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Mi piacerebbe ritornare in Croazia, anzi in Istria dove i matrimoni misti sono meglio accettati. |
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Oggi però sono i figli che ci fanno prendere le decisioni: per loro non ritorneremo. |
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Sono cresciuti qui, frequentano scuole e gruppi sportivi e io faccio di tutto perché si sentano meno stranieri. Se tornassimo a casa saremmo considerati degli estranei. |
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Allora è meglio essere stranieri in Italia, che è la condizione vera e accettata, piuttosto che essere considerati stranieri a casa nostra. |
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Del resto anche noi siamo molto cambiati, sono cambiate le nostre abitudini perché siamo lontani da troppo tempo. |
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