Racconti di stranieri

 

immigrati

   

dalla Nigeria

via Venezia

   

Questa storia esprime una particolare capacità di comprensione della nostra realtà da parte di uno straniero.

Ha infatti sottolineato la presenza dello “stato” e delle sue leggi, che limitano ma anche proteggono.

E ha colto anche alcuni aspetti problematici del nostro modo di rapportarci con chi arriva da una realtà diversa

                     
                       
      Sono venuto in Italia nel 1990. Ho raggiunto mio fratello a Venezia.      

La moglie italiana di mio fratello mi ha preparato da mangiare un piatto di pasta ma io avevo ancora fame.

Lei non capiva, allora mio fratello ha preparato altra pasta.

      Lei non capiva.      
     

Ma io le ho spiegato che lei sposando mio fratello, aveva sposato anche tutta la sua famiglia, e quindi io avevo diritto di chiedere e ottenere quello che chiedevo.

   
 
La Nigeria è un paese dell'Africa Occidentale.
Confina con il Benin ad ovest, il Ciad e il Camerun ad est, il Niger a nord e il Golfo di Guinea a sud.
Le principali città includono la capitale Abuja, la precedente capitale Lagos, Abeokuta, Ibadan, Port Harcourt, Kano, Kaduna, Jos, e Benin City.

Non era colpa sua ma di mio fratello che non le aveva spiegato bene le cose.

      Mio padre, in Africa, ha avuto sei mogli e molti figli.    
      Siamo una grande famiglia e per noi la famiglia è molto importante.    

Gli italiani non capiscono questo. Loro pensano la famiglia solo come moglie marito e figli.

Noi invece abbiamo molti fratelli, ma consideriamo fratelli anche i parenti più stretti e i connazionali, quelli che parlano la nostra lingua

     

Se io ho una casa con tre/quattro camere, ne uso una sola con mia moglie e i miei figli.

   

Nelle altre ospito miei fratelli nigeriani, così stiamo insieme e loro ci aiutano anche a pagare l’affitto.

NIGERIA

Al mio paese mi muovo liberamente, vado per esempio a vedere la TV nella casa vicino e nessuno mi dice niente.

Qui solo a bussare alla porta di fronte è quasi un’offesa.

Il mio primo lavoro è stato quello di vendere calzini, fazzoletti, strofinacci porta a porta. Non avevo mai lavorato in Italia e tanto meno in Nigeria.

Il primo giorno non ho venduto niente perché non riuscivo a suonare i campanelli ma alla sera avevo fatto ugualmente dei soldi.

Allora la gente era più buona, mi davano i soldi anche senza comprare niente, anche senza che chiedessi, però alla sera il padrone ha preso metà del mio guadagno, perché anche lui doveva avere la sua parte.

Adesso lavoro in fabbrica. Qualcuno dei miei connazionali mi ha detto che si trova bene, che è contento della casa e di tutto, ma che il padrone tratta male gli stranieri. Io gli ho detto che anche da noi i padroni trattano male i loro dipendenti.

       

Ma c’è una differenza: se tu insulti il padrone e gli rispondi male, da noi vieni buttato fuori dal posto di lavoro con la forza. Qui in Italia, invece il padrone fa fatica a licenziarti. Perché qui in Italia c’è una cosa molto importante: la legge, che difende i tuoi diritti

Noi nigeriani siamo venuti qui per fare soldi col nostro lavoro.

Ma per trovare lavoro il mio diploma non viene considerato.

    Qui in Italia siamo visti “come se avessimo appena perso la coda”.  
   

In Inghilterra è diverso perché riconoscono le capacità degli stranieri che sanno fare il loro lavoro.

   
   

Io sono chimico industriale ma in fabbrica, dopo sei anni ero ancora al secondo livello. Un giorno è stato assunto un giovanotto italiano. Lo hanno messo al secondo livello. Il mio capo mi ha detto di insegnargli quello che non sapeva del lavoro e io gli ho insegnato bene. Dopo poco tempo (due mesi) lo hanno passato al terzo livello e poi al quarto.

     
   

Allora ho fatto presente la mia situazione e sono stato passato al terzo livello.

     
       

Io penso a mio figlio; devo insegnargli ad accettare di essere trattato così, ad essere tollerante verso gli italiani, perché lui è straniero.

     
       

Una difficoltà che noi troviamo è il rispetto delle regole. Per esempio da noi non è richiesto di avere documenti (di identità). Quando qui ce li chiedono noi non li abbiamo. E anche se li abbiamo non li tiriamo fuori per paura di venir mandati via.

     
       

Io ed i miei amici non sappiamo cosa voglia dire avere un documento e conservarlo. Non avevamo mai avuto un documento prima d’ora. Lo stesso vale per le regole sulla patente, sulla guida dell’auto … Io ho fatto grossi sbagli appena arrivato qui; per questo ci vorrebbe un posto dove ti insegnano cosa fare e cosa evitare.

     
       

Anche per questo sono contento dell’iniziativa che sta portando avanti la vostra associazione Villaggio insieme perché penso che sia molto importante e necessario conoscerci di più.

     
       

Ci sono tante cose che io vorrei dire per farmi capire meglio dagli italiani. Noi qui abbiamo difficoltà anche perché le persone non ci trattano male e noi crediamo di poter fare come ci piace e di poter essere trattati alla pari.

     
       

In Germania invece è diverso. Ti dicono subito in faccia che non ti vogliono, ti trattano male; allora ti rendi conto subito di non essere gradito e ti regoli su come comportarti