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Questa storia è tante storie e nessuna in particolare, perché molti potrebbero raccontarla parlando di sé e della propria famiglia. .

Per questo è anonima, così può essere la voce della persone che vi si potranno riconoscere e magari vorranno anche loro aggiungere qualche particolare raccontandosi.

 
                 
                 
                 
       

Racconti di abitanti

di lingua italiana

 
   
  

      

Tra il 1959 e il 1960 le case del Villaggio del Sole sono state consegnate a chi doveva abitarle. E gli abitanti sono finalmente arrivati. Non tutti insieme ma tutti pressappoco in questi due anni.

A vederli arrivare con le loro masserizie si poteva farsi un’idea della loro provenienza sociale e della loro condizione economica.

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Arrivavano con i carri, con carretti tirati a mano, con qualche motocarro su cui erano tutte le loro cose: mobili, suppellettili, biancheria …

 
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Le persone seguivano in bicicletta, il mezzo di trasporto allora più diffuso in assoluto perché quasi nessuno aveva l’automobile.

Noi facevamo parte del gruppo entrato al Villaggio nel 1960, verso la fine dell’anno.

Avevamo fatto la domanda per essere messi in lista già da qualche anno.

Le condizioni che davano diritto all’assegnazione di un appartamento INA Casa erano: avere una famiglia numerosa e abitare in una casa ritenuta inadeguata. Noi eravamo in sei. Abitavamo a pochi chilometri dalla città. Avevamo una casa con cucina e due camere, più un sottoscala e un portico in comune con altre due famiglie. Anche la scala per salire alle camere da letto era in comune con un’altra famiglia e per salirci si attraversava il portico.

 
 
 

La casa dava su un cortile, in fondo al quale c’era il gabinetto comune che si puliva con secchi d’acqua. L’acqua non era in casa ma si prendeva con secchi alla colonnina dell’acquedotto che passava lungo la strada principale. Il bucato si faceva lavando la roba nel fosso che passava vicino, con il lavello di legno che ogni lavandaia si portava da casa.

 
 
 

Non c’era lavandino né bagno. C’era il secchiaio in cucina e il vaso da notte in camera. Il bagno si faceva in mastelli di legno. Non c’era riscaldamento.

 

Ci si scaldava in cucina con la stufa e a letto con le braci nello scaldaletto (fogara).

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Ma si era più o meno tutti nelle stesse condizioni, quindi si viveva tutto questo come normalità. Le famiglie più numerose e con più necessità avevano già avuto la casa a San Pio X. A noi l’hanno assegnata al Villaggio

 
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Abbiamo scelto la forma a riscatto per avere un giorno la proprietà, come è poi avvenuto.

 
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Ci è stata data una casa con tre camere e tutti i servizi, inclusi naturalmente l’acqua e il gas.

 
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Era come un sogno che diventava realtà e prima di tutto l’abbiamo fotografata da tutte le parti per renderci conto che era proprio vera e che avevamo in mano le chiavi. Non ci pesava fare le scale, eravamo giovani.

 
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Dalle finestre si vedeva il Villaggio e dal retro le colline fino alla linea dei monti più lontani. C’erano ancora i campi intorno allora.

 
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Non c’era la chiesa, il centro sociale, non c’erano alberi sulle aiuole, ma a noi sembrava il posto più bello che si potesse immaginare. Poi piano piano è diventato come è ora, ma è avvenuto in tempi lunghi.

 
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Questo è stato solo l’inizio della storia, a partire dalle origini. Ci sarebbe molto da raccontare sull’incontro con tante persone al Villaggio e sulla comunità che si è formata nel tempo. All’inizio abbiamo capito subito che mettendoci insieme e restando uniti qui avremmo vissuto bene.

 
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Un abitante del Villaggio del Sole di lingua italiana

 
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