Racconti di abitanti

   
   

di lingua italiana

     
   

 

  
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Abitavamo in Borghetto a Santa Croce, l’appartamento era piccolo però c’era il gabinetto.

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Quando il Bacchiglione si ingrossava per le piogge dovevamo mettere i sacchi di sabbia addosso alla parete perché filtrava l’acqua attraverso i muri.

Borghetto: (da piccolo borgo) si stacca da corso Fogazzaro lungo il fianco della chiesa dei Carmini e sbocca nella contrà Porta Santa Croce, prima della porta stessa
 
Bacchiglione: fiume che attraversa Vicenza, nasce dalle risorgive nel Comune di Dueville e sfocia nel Mare Adriatico
 
Monte Crocetta: colle isolato di modesta altitudine posto a nord-ovest del Villaggio del Sole
 
Apollo: sala cinematografica parrocchiale utilizzata anche come piccolo teatro

Lì però vivevamo bene perché tra abitanti della strada la relazione era molto intensa.

 

Nel ricordo di Franco Campi c’è la freschezza di un ricordo positivo, di inizi laboriosi e di una intensa partecipazione alla vita del Villaggio. Il ricordo disegna nel pensiero un modello: qualcosa che è stato ma che non è finito e può continuare.

     

La casa qui al Villaggio ci è piaciuta subito perché c’era molta luce, era moderna con il riscaldamento ed il bagno.

   

Tra gli abitanti della scala c’è stato subito accordo e, almeno nel nostro caseggiato, non sono mai sorti grossi problemi; anche ora che ci abitano una famiglia serba e una albanese devo dire che non ci sono problemi perché sono delle brave persone.

     

Siamo contenti di abitare qui e da qui mi portano via solo dopo che sono morta dice la moglie.

   

Tutto quello che abbiamo ce lo siamo costruito - messo in piedi - da noi abitanti.

Ci ha aiutato molto la presenza della signora Brunello e delle altre assistenti sociali che ci hanno fatto mettere in piedi il Comitato di Quartiere al Centro Sociale per risolvere i problemi e le necessità degli abitanti.

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C’era all’inizio concorrenza, quasi invidia, fra le attività del sociale e quelle della Parrocchia ma, man mano che si andavano risolvendo i problemi, questa è stata superata.

Far crescere i figli è stato facile per la presenza della scuola in mezzo al quartiere, potevi vedere i figli entrare a scuola stando alla finestra di casa.

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Anche per giocare nel prato sotto casa erano al sicuro sotto ai nostri occhi, potevano giocare con i ragazzi delle altre scale e quando arrivava il gelataio con il suo carretto tutti chiamavano “mammmmmaa” e si facevano buttare i soldi dalla finestra.

   

La vicinanza poi di Monte Crocetta è stata un buon sfogo per i più grandi; in seguito è stata istituita la pallacanestro e la società del calcio.

Per le ragazze, invece, non c’erano attrezzature e bisognava uscire dal quartiere se volevano fare qualcosa o praticare qualche sport.

 

Abbiamo messo in piedi anche tante altre attività. Con Telandro e don Sacchiero è stato avviato il Carnevale, i primi anni con i carri presi in affitto e poi con la sfilata in costume e la festa con la premiazione delle mascherine all’Apollo.

Poi con Telandro, Pilastro Federico e Focone, un maresciallo dell’esercito, visto che in quartiere erano sorti dei gruppi musicali, (complessini) facemmo il primo festival dei complessi.

 

Furono tre serate fantastiche, un successo enorme, arrivò gente da tante città, incassammo qualcosa come 600.000 lire. Il complesso del quartiere (Play Moon) ci diede tempi fantastici.

   
 

Quando siamo venuti ad abitare nella mia strada, 70 famiglie, c’era una sola che aveva l’auto, e questo era fonte di curiosità per tutti.

   
 

Poi con il tempo un po’ alla volta molti furono nelle condizioni di averla ed allora sorse il problema dei garages che a quel tempo non erano stati previsti per le case popolari.

       

Avendo io il negozio di barbiere il mio incarico fu di fare opera di persuasione con gli abitanti al fine di creare una cooperativa per costruire i garage di via brigata Granatieri di Sardegna.

   

Alla prima riunione eravamo quasi duecento e tutti o quasi erano d’accordo per acquistare un garage.

Fu fatto un bando e si rese necessario chiedere 200.000 lire di acconto (i garages venivano a costare circa 700.000 mila lire).

Alla riunione per decidere la partenza dei 200 non si presentò nessuno. Dovetti ripartire con i contatti di persuasione e riuscii a farne acquistare cinque a Terraran, il salumiere, cinque a Soave, il fiorista, due li acquistai io e così, un po’ alla volta, si arrivò in porto.

A ripensarci ora, che una volta era chiamato il “Villaggio dei fachiri” per l’analogia tra i chiodi sui quali si adagiano i fachiri e i “chiodi”, nome con il quale vengono chiamati nel nostro gergo dialettale i debiti, ti sembra quasi impossibile.

Eppure si faceva “chiodo anche dal barbiere: io avevo il mio foglio sul quale segnavo i tagli che facevo, magari un mese venivano anche tutti i maschi di una famiglia e “notavano” poi, magari a fine mese o quando potevano, mi saldavano il conto.

Devo dire che, salvo qualche raro caso, hanno sempre saldato tutto.

Avevano povertà ma senso dell’amor proprio.